Una vasca lunga una vita – di A. Tavecchio

Quel giorno non avevo proprio voglia di andare in piscina. “perché devo farlo, io non ho voglia di nuotare e poi sono stanco e ho anche freddo; solo a pensare di buttarmi in acqua mi viene già un brivido lungo la schiena”.
Ma dentro di me sapevo che erano solo delle lamentele passeggere perché tanto, anche quel pomeriggio, sarei andato in piscina e avrei nuotato come un dannato, vasca su vasca come facevo ormai da anni.

Lo sport ti fortifica l’anima, il nuoto ti permette di entrare in contatto con te stesso, nel silenzio dell’acqua che scorre attorno al tuo corpo scivolando via a tutta velocità. Una lotta personale contro il tempo che passa inesorabile, sempre con lo stesso ritmo, sempre con la stessa cadenza, dove anche un solo secondo può fare la differenza tra vincere o perdere.

Ma quel giorno era diverso, si sentiva nell’aria, era quasi palpabile. Appena arrivai in piscina vidi gli sguardi dei miei compagni di nuoto. “Cosa è successo? Perché avete tutti quella faccia?”
Quelle parole mi trafissero il cuore anche se non comprendevo ancora appieno il loro significato. Una cosa però era certa: Silvia non ce l’aveva fatta, aveva lasciato per sempre questo pianeta. Era il 3 giugno del 1985.

Non erano servite neppure le costosissime cure negli Stati Uniti, tutta la raccolta fondi che aveva coinvolto la città intera, le tante speranze, i tanti mesi di cure, le innumerevoli preghiere… niente da fare. Silvia Tremolada non sarebbe mai più venuta a nuotare con noi nella fantastica Monza Nuoto.

Dentro di me mi chiedevo: “ma perché accadono queste cose, perché esistono queste brutte malattie, che cos’è un cancro e cosa vuole dire morire, finire tutto… ma poi come fa a finire tutto?”

Lei era bellissima. Un corpo statuario che la rendeva più grande della sua età. Aveva un sorriso radioso, con quel velo di timidezza dipinto sul suo volto che però non poteva impedire a quella luce di manifestarsi attraverso i suoi occhi. Traspariva la vera voglia di vivere e di scoprire il mondo, di scoprire l’amore.
Quanti ragazzi del gruppo dei “grandi” le facevano il filo. Certo, piaceva anche a me ma io facevo ancora parte del gruppo dei “piccoli” e la vedevo irraggiungibile. Ma da quel giorno non sarebbe stata più di nessuno.

La settimana seguente sembrava già tutto passato perché la vita va avanti e noi dovevamo sempre nuotare come dei dannati. A volte pensavo ai suoi genitori e immaginavo il loro dolore, cosa avrebbero provato e come avrebbero fatto ad andare avanti senza la loro Silvia dopo la lunga battaglia condivisa insieme. Non ho mai più rivisto i suoi genitori da quel giorno.

L’acqua scorre sotto i ponti, il tempo passa e va sempre in avanti, la vasca della piscina NEI di Monza misurava sempre 25 metri ma sembrava un mare aperto per i tanti kilometri che si macinavano in ogni corsia.

Non ricordo esattamente, ma sono stati circa 6 anni di agonismo quotidiano, sempre alla Monza Nuoto con due allenatori che ricorderò per tutta la vita: Maurizio e Marinella.

Se potessi rivederli oggi, qui davanti a me, li abbraccerei forte e li ringrazierei commosso perché mi hanno insegnato cos’è lo spirito di sacrificio la determinazione la forza di volontà, la fatica, cosa vuole dire vincere, imparare a perdere, comprendere gli errori, migliorare, conoscere i propri limiti e tanti altri bei valori che solo lo Sport ti può insegnare… se hai un bravo coach !

Quando invece ero uno dei “piccoli” vedevo Maurizio e Marinella come dei carcerieri, cattivissimi. Una volta entrato in acqua diventavi di loro proprietà e potevano fare quello che volevano di te, anche lanciarti una ciabatta sulla testa quando nuotavi piano.
Potevi stare male, ma davvero tanto, sentirti lo stomaco sottosopra, dolori muscolari lancinanti, ma la loro risposta era sempre la stessa: “nuota che ti passa”.

“Maurizio non ce la faccio più mi devo fermare un attimo, fammi uscire, ti prego, per favore” e tutte le più disperate parole per giustificare il malessere che si provava in certi momenti, ma la risposta non cambiava mai: “nuota che ti passa”.
Certe volte sentivo chiara dentro di me la convinzione di dire: “basta, adesso esco e non nuoterò mai più, addio a tutti”.
Non avrei mai immaginato invece che il nuoto sarebbe stato l’elemento fondamentale per tutta la mia vita, come anche per tantissimi amici e amiche che a quei tempi costituivano la mitica Monza Nuoto.

Monza nuoto



Non ricordo quando sia stata scattata questa foto, ma era sicuramente alcuni anni prima della malattia di Silvia che la colpì nell’aprile del 1984. Lei era lì, in piedi (freccia verde), ignara di quello che le sarebbe accaduto, ma questa è una delle caratteristiche della vita: poter vivere il presente secondo per secondo perché solo questa dimensione ci è consentito conoscere.
E indovinate invece dov’ero io? Ma ovviamente al TOP, là, in alto e in mezzo, con le braccia e le dita a formare la V di Vittoria.
Ghezzi, Fazari, Colombo, Cengia, Pattini, Murari detto Bubu, Pessina, Fabbri, Sala, Paleari, Redaelli, Acquati, Tremolada, Galli e ovviamente i 3 Tavecchio. Che bella squadra che eravamo, anzi che siamo!

Un bel giorno mi dissero: “Alessio, qui bisogna mettere una marcia in più. Sei uno di quelli che dovrebbero venire a nuotare anche la mattina, prima di andare a scuola, per fare doppio allenamento quotidiano”. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Mi allontanai dal nuoto velocemente, alla ricerca di quel divertimento che era proibito da tanto tempo, come per cercare di recuperare qualcosa che avevo perso, ma in realtà non mi rendevo conto che anziché recuperare stavo solo perdendo di vista la cosa più importante che mi aveva fatto crescere fino a quel giorno: lo Sport! Era rimasta solo qualche partitina a calcetto e lo sci.

Avevo ormai raggiunto l’età di 23 anni, mancavano pochi giorni a quel compleanno ma non riuscivo ad essere felice perché tutto intorno e dentro di me pareva essere diventata una “selva oscura” nella quale ero piombato. La vita sembrava incomprensibile ai miei occhi, quindi anziché viverla era più facile fuggire via, meglio se con la mia nuova moto.

Mi risvegliai in quel letto dell’ospedale, attaccato a un tubo dal quale respiravo e sentii una certezza dentro di me: stava per iniziare la vita che avrei voluto vivere fin da sempre, l’appuntamento più importante, come se fossi appena nato, lasciandomi alle spalle tutta l’angoscia e l’incomprensione che vivevo fino a quel giorno, ma non sapevo ancora in cosa consistesse questo nuovo inizio.

E’ bastato cercare di alzarsi dal letto per capire che non avrei mai più potuto far nulla se non da seduto su una sedia a rotelle.

Scusate, ma questa non è la vita che avrei voluto vivere, non è la rinascita che intendevo. Sembrava la fine, ma la vita è così luminosa e generosa che spesso offre una seconda possibilità dopo una caduta, un fallimento, uno sbaglio. Molte volte questa chance ci viene offerta attraverso una vera occasione da prendere al volo, come un treno che passa una volta sola e che rappresenta l’opportunità di poter cambiare direzione, di risorgere dai propri errori, di lasciarsi alle spalle una vita per iniziarne un’altra, nuova!

All’apparenza era sicuramente una tragedia, ma nella realtà ho voluto fidarmi di quello che sentivo dentro di me per la prima volta così intensamente: ho scelto di vivere quell’esperienza come l’occasione più straordinaria che mi potesse capitare per ritrovare veramente me stesso e il senso della Vita.

Certo, un’esperienza drammatica dal punto di vista umano, ma durante quei giorni di coma tra la vita e la morte, ho scoperto l’esistenza di una nuova dimensione spingendomi, mio malgrado, a varcare quella soglia che chiamiamo morte e che invece si è rivelata essere un passaggio della coscienza a un livello diverso da quello umanamente conosciuto.


Non è tanto ciò che ho sperimentato oltre quella soglia che risulta straordinario, ma piuttosto la nuova consapevolezza di vita che è derivata da quell’evento illuminante. Tutto questo mi ha permesso di trasformare un giovane alla confusa ricerca di sé stesso, in un uomo nuovo e con un chiaro obbiettivo davanti a sé: VIVERE il dono prezioso della vita a tal punto da far diventare la guarigione una conseguenza naturale.

Tutto questo a parole, come intenzione, come desiderio, ma nel concreto la prova più dura e difficile della mia vita. Tener fede a quella scelta davanti a tutte le conseguenze che si palesavano giorno dopo giorno seduto su di una sedia a rotelle è stato come scalare l’Everest in pantaloncini e pantofole senza alcuna preparazione. Inimmaginabile per chiunque, anche per me.

Mi ricorderò sempre quella scena dopo essere tornato a casa a seguito della lunga fase ospedaliera fatta di 3 delicate operazioni al viso e alla schiena e di una massacrante riabilitazione. Ero là davanti alla TV, seduto su una sedia a rotelle con la coperta sulle gambe che sembravo un vecchio decrepito in procinto di morire a soli 23 anni. Mi misi a piangere accasciato sulle mie gambe, inerti, che sembravano di qualcun altro, provando una rabbia e una voglia di poter cambiare tutta questa situazione che improvvisamente mi fece reagire gridando: BASTA!!


Devo fare qualcosa per proseguire il mio “cammino” su questa terra e imparare a vivere concretamente la vita scoprendone il senso.

Il giorno dopo ebbi un’idea, probabilmente incentivata anche dal dolore lancinante che avevo alla schiena per le barre di metallo che mi erano state inserite al fine di riparare la colonna vertebrale: “Vado in piscina e mi butto in acqua così galleggerò e non sentirò più questo mal di schiena e il peso della sedia a rotelle. Qualcuno mi accompagna?”

Non mi sembrava vero. La vasca di 25 metri dove ho macinato kilometri e kilometri per anni e anni era ancora lì, uguale e precisa che mi aspettava. Da come riuscivo a malapena a galleggiare sembrava quasi impossibile poter fare anche una sola vasca, quei pochi metri da una sponda all’altra.

La prima nuotata in questa nuova condizione è stata come un battesimo vero e proprio. Mi sentivo libero, leggero, rigenerato, potente! Ma come avevo fatto ad allontanarmi dall’acqua per così tanto tempo?

Uscendo dalla vasca con l’aiuto di mio fratello e di mia sorella che mi avevano accompagnato, una persona mi rivolse la parola dicendomi che mi aveva visto muovermi bene in acqua e che mi sarei potuto iscrivere in una squadra di nuoto per persone disabili che si allenava in quella piscina. In quel momento sentii una voce chiara e nitida dentro di me sussurrarmi: “nuota che ti passa!”
E così fu.

Il nome della squadra di nuoto per persone disabili con cui avrei nuotato da quel giorno fino alla fine della mia vita? Ovvio, ASD BRIANZA SILVIA TREMOLADA ONLUS.

Campionati Italiani di nuoto assoluti Palermo 2007

E’ proprio vero che le vicissitudini che viviamo lungo il percorso della vita non riusciamo a comprenderle appieno nel momento in cui si presentano. Solamente dopo, quando abbiamo resistito e cercato di superare le avversità, le scelte, e gli ostacoli della vita, ci rendiamo conto che, guardando indietro, riusciamo a collegare i vari punti “casuali” delle esperienze vissute con una linea continua che magicamente genera un senso, un percorso e che rappresenta il cammino della nostra vita che è unica e irripetibile. Un po’ come diceva il grande Steve Jobs con la sua frase “connecting dots”.


L’ASD Silvia Tremolada Onlus aiuta da più di 30 anni ragazze e ragazzi con disabilità fisiche e intellettive a crescere diventando autonomi e integrati nella società grazie alla pratica dello Sport.

Con questa stupenda squadra, ho raggiunto 2 finali ai Campionati Europei di nuoto disabili a Perpignan nel 1994, altre 2 finali alle Paralimpiadi di Atlanta ’96 e ho vinto più di 30 medaglie d’oro come campione italiano, imbattuto per 8 anni a fila in Italia.

Oggi ho 50 anni e continuo a nuotare, domani ne avrò sempre di più e continuerò a nuotare e nuoterò fino a che le forze me lo permetteranno perché ormai lo sport è diventato uno stile di vita, anzi, una filosofia di vita.

Ecco perché la squadra in cui nuoterò sempre e mi farà sentire orgoglioso di farne parte sarà quella squadra che mi ha portato a raggiungere il gradino più alto del podio nello sport e nella vita e che porta il nome di una carissima amica che ha condiviso con me l’adolescenza e le infinite nuotate in piscina da allora, fino ad oggi: ASD BRIANZA SILVIA TREMOLADA ONLUS.

Grazie Silvia!

Cav. Alessio Tavecchio